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Intervista by Anialf

Questa potrebbe essere la solita intervista di rito, dove si parla quasi esclusivamente di musica, di testi... invece ho pensato di trasformarla soprattutto in una chiacchierata con un amico... dove sì, ovviamente, ci si confronterà col nuovo lavoro, ma soprattutto vuole essere la conferma che un'amicizia, anche se a distanza, se è vera può anche essere scritta e ricordata su un sito... senza però dimenticare che sto parlando con Albireon... dunque a volte mi rivolgerò personalmente a Davide, a volte all'intero gruppo...

 

Davide, ricordo quando ti conobbi di persona... ero appena uscito da 45 giorni di ospedale, ancora non sapevo se e come ce l'avrei fatta, e tu venisti fino in ufficio da me a portarmi di persona il vostro demo “Disincanto”... poi ci saltai fuori, con dei problemi che ancora dopo tanti anni mi porto dietro, e proprio per questo non ho molta memoria di quel che ci dicemmo in quell'oretta...
Ricordo bene anche’io Alfredo, allora facevo ancora il chimico del latte e venni in ufficio da te dopo un bel giretto mattutino di campionamento nelle stalle. Di certo non dovevo profumare di violette, ma la tua cortesia mi ha aiutato a superare l’imbarazzo! Non sapevo nulla di te, sapevo solo che avevi trovato qualcosa nella nostra musica e che volevi approfondirne la conoscenza. Quello che capii parlandoti era che la tua sensibilità superiore alla media ti avrebbe permesso di “sentire” quello che avevo dentro e che di riflesso finisce inevitabilmente nella musica di Albireon.

… E poi ci fu il concerto che noi di LaRoseNoire organizzammo con Albireon e Sonne Hagal... che splendida serata! Non ci fu tanta gente (come spesso accadeva e accade, purtroppo... e dobbiamo ringraziare l'incoerenza della nostra 'scena' se ci sono sempre meno eventi di questo tipo...) ma la rammento come un momento intenso: voi tutti come lo ricordate?
Una splendida serata senz’altro, che tra l’altro ha cementato l’ amicizia con Sonne Hagal, con cui in seguito abbiamo collaborato per “Indaco EP” e per lo split “Ahren”. Eravamo decisamente molto emozionati, in fondo, nonostante le nostre precedenti esperienze, era l’esordio live per Albireon e non sapevamo bene come il pubblico avrebbe reagito, soprattutto di fronte alle parti più sperimentali. Nonostante questo, ricordo un set intenso ed un pubblico attento, oltre ad una atmosfera intima e raccolta che ci ha permesso di dare il massimo. Ho ricordi bellissimi e indimenticabili di quella sera, come avere ospite Oliver di Sonne Hagal a suonare e cantare con noi “Ala di Falena”, e suonare la chitarra con loro su “Eismhad”, e per questo ringrazio te e La Rose Noire. In effetti c’era veramente poca gente e mi sono chiesto come mai un gruppo conosciuto come Sonne Hagal non abbia attirato un pubblico più numeroso come in altre occasioni. Per il resto non si può dire che sia un momento idilliaco per la musica live per la cultura in genere, per cui un plauso va ai pochi coraggiosi che non demordono.

… avrei voluto seguirvi meglio nei successivi concerti, ma come sappiamo la mia salute non me lo consentì più di tanto... e a proposito di concerti, come pensate di promuovere il nuovo cd? Non ho visto notizie di prossimi eventi, ma magari non ho ben controllato in rete: avete qualche progetto live a breve?
Non ci sono progetti particolari per promuovere il nuovo cd. Di certo c’è una idea ambiziosa in ballo, ed è quella di suonare l’intero album proiettando al contempo il film che lo completa, pubblicato anche come dvd nella limited edition. Credo che l’emotività delle immagini e la musica creerebbero davvero una atmosfera unica, anche se emotivamente per me difficile da affrontare. E credo sarebbe anche una sfida arrangiare i brani per un eventuale concerto, visto che “I passi di Liù” è un disco nato da sperimentazioni e sessions di registrazione, così istintive e casuali (se per caso intendiamo la concatenazione di eventi e volontà di cui non siamo pienamente coscienti), da obbligarci ad una forzata “ricostruzione” dei brani e delle partiture musicali. Inoltre, se questo mai avvenisse, dovrà essere una “rappresentazione” pensata e concepita in un luogo capace di accogliere questi suoni e queste immagini nel modo più intimo possibile. E’ materiale delicato, che male si presta ad una fruizione veloce e fuori da un contesto emotivo adatto. Onestamente, abbiamo suonato solo 5 volte dal vivo e, per quanto amiamo il concerto, è sempre più difficile trovare tempo per provare in modo accurato un live-set, per questo preferisco per ora non fare piani. Certo, il concerto con Sonne Hagal nel 2005, la serata con All My Faith Lost...a Ferrara nel 2007 ed il First Folk Alert a Prato nel 2008, con Rome, Naevus e Yggdrasill sono tra le cose più belle che mi ha regalato la musica, perciò non chiudiamo nessuna porta, ma aspettiamo una occasione per rimetterci in gioco.

… e adesso parliamo proprio del nuovo album: come ti ho già scritto, la prima volta che lo ascoltai ne rimasi inquietato, probabilmente perché, come ho anche scritto in recensione, sono partito dapprima con le immagini del dvd, e poi dall'ascolto delle tracce... adesso ritorno su questo tema: perché pensi che il mio primo giudizio fu proprio di inquietudine, di freddo, di non-speranza...
Obiettivamente l’atmosfera dell’album è piuttosto opprimente. Mi rendo conto di come io sia portato a distillare in musica sensazioni assolutamente negative. Forse, per una sorta di scambio, materializzandole in musica riesco a liberarmene e vivere libero da macigni emotivi che altrimenti mi trascinerebbero a fondo. La scelta dei suoni è istintivamente surreale e desolata stavolta, salvo poi aprirsi in alcuni episodi (e penso a “Gli Equiseti”, “Cendra” o “Cerbastri”) alla pura, dolce malinconia del ricordare. D’altronde questo disco per me rappresenta, e nasce, dall’elaborazione di un lutto, per cui sensazioni come l’inquietudine, il senso di vuoto e lo scontro con la nostra fragile mortalità non potevano certo generare suoni lievi e leggiadri. La speranza c’è però, anche se sempre filtrata dalla mia sensibilità ombrosa, e nasce dall’accorgersi di come una persona non muoia mai del tutto, che l’amore dato e ricevuto resta, che ci sono luoghi in cui chi ci ha lasciato ci parla ancora, se sappiamo ascoltare. Il film “I passi di Liù” non è altro che una rappresentazione visiva di quanto scorre al di sotto dei suoni, per certi versi li completa, ne da una chiave di lettura. Io credo che sia come un sogno, forse il sogno di una persona che negli ultimi istanti di vita, ritrova i visi amati, vola sopra le nuvole dei luoghi in cui ha vissuto e mentre il corpo affronta la sua natura mortale, si incammina verso la verità. O verso Dio. O verso entrambi.

… mi hai scritto che il cd è dedicato ad una persona cara, morta qualche tempo fa, in particolare alle sue ultime ore di vita... ma che questo non deve essere considerato un aspetto 'morboso' di questo tuo ricordo, quanto una possibile metabolizzazione ed elaborazione della sua perdita... potresti spiegarmi meglio, se lo ritieni opportuno, questo aspetto, per me alla base di tutti i nuovi brani?
E’ molto difficile parlarne. In effetti è così però. Avevo già provato ad esplorare questo evento in “Incantesimo”, pubblicata su “Il Volo Insonne” nel 2005, ma evidentemente la trattazione non era stata esaustiva ed ho dovuto realizzare un intero album per provare a metabolizzare quei momenti e renderli parte di me, in armonia con il resto della mia personalità. Sto schematizzando ma in realtà c’è ben poco di conscio in ciò che avviene componendo musica. Ci si accorge spesso a posteriori di cosa è fluito in un determinato brano o lavoro. Ho assistito le ultime ore di vita di questa persona e mi sono rimaste dentro, con il loro carico di dolore, di incredulità, di amore e sofferenza ma anche di incontro intimo e diretto con la morte, “I Passi di Liù” è quasi una via crucis attraverso quelle ore, in cui lo svolgersi degli eventi si intrecciava con i ricordi di una vita. Se ascolti attentamente l’album comprenderai facilmente come questa alternanza tra i due livelli sia evidente, fino a concludersi, con “Gennaio”, in qualcosa di inesplorabile, di incomprensibile, di sfuggente eppure così terreno, come la morte del corpo. Certo, molte cose sono trasfigurate. La persona di cui parlo non si chiama Liù e non è morta in una sera di Gennaio. In più trasfigurare gli eventi è tipico della memoria. Nel film l’aspetto “morboso” è stato sicuramente amplificato, ma ho lasciato che Stefano e Massimo Romagnoli avessero libertà assoluta, e quindi hanno sentito di dover approfondire ciò che è la carne, la sua decadenza, il suo essere comunque intrisa della luce dell’anima. Raccontare la morte di Liù e sforzarmi di sentirla viva, non è per me qualcosa di malato o morboso, è un gesto d’amore e una terapia per il dolore.

… il distacco dalle persone a cui si è voluto molto bene, è niente in confronto al ricordo che ogni giorno ci portiamo dentro, e non è questione di essere 'oscuri', ma di sensibilità... è anche vero che ognuno affronta questi ricordi come meglio crede... c'è chi lo deve dimostrare apertamente, c'è chi tiene tutto dentro... Tu ci sei perfettamente riuscito nella tua musica, nei tuoi testi e nelle tue immagini... ritengo che il saper creare musica sia un dono con cui si nasce, oppure pensi che si possa anche acquisire col tempo e l'esperienza?
So' benissimo che questo argomento non ti è estraneo. Questa sofferenza è parte della vita di tutti. Io aggiungerei che non è tanto una questione di volontà affrontare la perdita ed il ricordo, ma soprattutto di necessità. Io ho avuto bisogno di questo disco, un bisogno estremo, come quello di respirare o mangiare. Non ho la più pallida idea del risultato umano ed artistico di questa operazione, non mi pongo assolutamente il problema di aver raggiunto uno scopo oppure no. So solo che io ho avuto la necessità di esprimere questa sofferenza e questa speranza e di aver avuto vicino un gruppo di persone che l’hanno fatta propria e resa in musica ed immagini. Il resto è aleatorio ed indecifrabile. Certo, sono una persona emotiva e sento a volte la necessità di esternare ciò che provo, spesso con enfasi, a volte con ostentazione, in una specie di “esibizionismo introverso” come diceva Sopor Aeternus, ma con estrema sincerità ed onestà verso le mie stesse emozioni. In fin dei conti sento il bisogno di crearmi uno scrigno prezioso nella memoria, per poterlo guardare quando il mio cammino starà per finire, e sapere in quel momento di aver vissuto. A volte, nello scrigno, finiscono ricordi non dico alterati, ma ricchi di un’aura di vissuto. Forse la stessa differenza che passa tra conservare una fotografia o un quadro dello stesso ricordo. Hai presente “Big Fish” di Tim Burton? Ecco, forse io e il protagonista abbiamo qualcosa in comune! Per rispondere alla tua domanda, credo che creare sia un istinto innato. Il tempo e l’esperienza possono darti o migliorare gli strumenti per esprimerti, ma creare è soprattutto un bisogno inconscio che può manifestarsi in tempi diversi, quando si è pronti, ma che probabilmente è già dentro noi stessi. Io ricordo che già a 10 o 11 anni fantasticavo su una musica mia che fosse “triste, riflessiva e costruita su rumori e tastiere”, come scrissi all’epoca su qualche quaderno.

… perché avete deciso di aprire l'album con la traccia più malinconica che Albireon abbia mai creato? Mi sembra che man mano, il disco si apra sempre di più, e questo contrasta molto con l'idea che ho di composizioni assai pessimiste... eppure hai appena avuto una splendida bambina, ed il semplice metterla al mondo credo sia un gesto di ottimismo per il futuro che ci attende...
“Liù Dorme” è semplicemente l’inizio della riflessione, del ricordare, del prendere coscienza che ciò che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi è senza ritorno. E’ cercare di capire dove si rifugia l’anima quando il corpo diviene poco più di una macchina che lavora con sempre meno efficienza. E’ dover vivere quella sofferenza senza speranza, è sapere che non ci sarà un altro Inverno da vivere insieme e che la persona che vedi dormire, in una pausa del dolore, non sta in realtà dormendo ma si sta avviando verso un luogo lontanissimo da te. Per questo andava posta all’inizio del disco. Non so poi se realmente l’atmosfera si faccia più aperta, trovo che l’album si apra realmente solo negli ultimi cinque minuti di “Gennaio”, mentre accompagno con lo sguardo Liù che si allontana. Non amo parlare di pessimismo ed ottimismo, parole troppo limitanti per questo groviglio di sensazioni. La nascita di Maria Chiara ha influenzato solo in piccolissima parte il disco e non credo si possa leggere nella mia musica qualcosa che la riguardi. Posso solo dire che per me e Paola, la gioia di aver ricevuto un dono così grande come questa bambina sana e allegra, sia semplicemente impossibile da esprimere a parole. E non mi vergogno ad ammettere quanto sia aperta al futuro la nostra vita in tre, anche in questi tempi disillusi e difficili.

… mi sembra che “I passi di Liù” sia più da intendere un concept-album, dove ogni brano è legato al successivo ed al precedente: effettivamente l'ho sempre compreso come un lavoro globale, e anche se inevitabilmente alcune tracce le preferisco ad altre, si sarebbe anche potuto non mettere pause fra un brano e l'altro, e sarebbe comunque risultato un lavoro unitario...
Il disco è concepito senza pause e in molti casi i brani fluiscono l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, proprio perché possa essere vissuto come una sequenza di emozioni, riflessioni ed immagini, ognuna complementare e precedente a quella che la precede o la segue. Al sonno di Liù segue l’inedia dei naufraghi, che fa nascere il ricordo degli equiseti, la cui intensità riporta alla deriva del dolore. E così via.

… però nel contempo, credo che l'atmosfera globale sia stata affrontata in modo diverso da canzone a canzone (perdona questo termine un po' obsoleto): addirittura, come ho già scritto, ci sono dei passaggi molto sperimentali, ci sono dei suoni in loop che ritornano su se stessi e sui quali hai poi aggiunto i vari strumenti, o è solo una mia impressione?
Si certo, le canzoni sono tutte nate da sperimentazioni sonore di Stefano Romagnoli o miei arpeggi di chitarra. La creazione delle basi dei brani è stata istintiva ed immediata, subconscia insomma, tanto che in in un paio di settimane ogni traccia era stata abbozzata. Questo accadeva all’inizio del 2007. Il processo di evoluzione dei brani ha poi richiesto un anno e mezzo di lavoro e solo quando essi ci sono sembrati completi dal punto di vista strutturale e strumentale, abbiamo sentito il bisogno di aggiungere la voce, dopo aver a lungo accarezzato l’idea di un lavoro strumentale. Penso che la bellezza dei suoni ambientali sia l’estrema intimità che racchiudono, quasi la materializzazione del “rumore dei pensieri”. Per questo li abbiamo utilizzati in modo più estensivo di come fatto in precedenza.

… adesso una domanda a tutti: è chiaro che quando si parla di Albireon, non si può non associarlo alla figura di Davide: io stesso compio mentalmente questo errore, dimenticando che siete comunque un gruppo, al di là che sia lui a comporre musica e testi... avete mai pensato di pubblicare qualcosa sul quale Davide avesse il solo ruolo di musicista? Magari si farebbe forse più fatica a produrlo, e probabilmente Albireon prenderebbe un suono diverso...
Io posso dire che, seppur essendo evidente come Albireon sia nato dal mio bisogno di esprimermi, siamo ora un gruppo a tutti gli effetti e credo che la creatività degli altri trovi modo di colorare il suono del gruppo in modo determinante. Ognuno è libero di proporre liberamente idee e composizioni, e quando accade sono generalmente cose molto belle e perciò impiegate per il progetto. Carlo è con me da dieci anni, Stefano e Lorenzo da sette, ci conosciamo bene e sappiamo come lasciare che ognuno abbia i suoi spazi. Ricordo con piacere che un brano importantissimo per noi come “Le Rose di Acrom” sia nato completamente dal pianoforte malinconico di Carlo. Senza dimenticare che stiamo molto bene insieme, anche quando non si parla di musica.

… che io ricordi, ma come sai Davide sulla mia memoria non posso contare molto, non mi pare di avere mai ascoltato voci femminili in Albireon: è stata una scelta o non hai trovato voci che potessero amalgamarsi con le tue composizioni? Oppure pensi che i tuoi testi, proprio perché tuoi, debbano essere da te cantati, per renderli al meglio con tutte le sfumature del caso?
Nessun pregiudizio e in effetti, ci sono due episodi della nostra discografia in cui Paola, mia moglie, ha registrato dei recitativi sui nostri album ed in particolare nelle già citate “Incantesimo” e “Cendra”. Certamente, sentendo così tanto i miei testi a livello intimo, non riesco, nonostante la mia pochezza vocale, ad immaginare una voce diversa dalla mia sui nostri dischi. Quando avviene, come con Ian Read o Sonne Hagal, si tratta comunque di traduzioni o canzoni particolari. Non ti nego che sentire però una voce diversa su un nostro pezzo sia spesso una gioia. Abbiamo molte collaborazioni che speriamo di poter realizzare presto in questa direzione.

… so che il disco sta andando molto bene, è apprezzato e compreso, un plauso alla Palace of Worms per aver avuto il coraggio, in un periodo come questo, di pubblicarlo, anche nella versione col dvd... ed è a proposito di quest'ultimo che Vi chiedo: come avete scelto le immagini? Nella recensione non ne ho parlato molto, perché non sono capace di descrivere il flusso di visioni che avete voluto trasmettere, ho preferito consigliare di guardarlo e poi giudicarlo personalmente... ma voi come lo vedete, come lo avete ideato?
Siamo veramente felici ed entusiasti del lavoro che POW ha fatto per noi. In un momento difficilissimo per l’industria discografica, che ha negativamente colpito anche la nostra precedente label, la Cynfeirdd, Guido Borghetti si è rimesso in gioco con quattro produzioni di nicchia come il nostro album (la cui limited edition con cd+dvd è assolutamente un lusso!), la compilation “Nikolaevka” in cui siamo presenti con “Il Deserto dei Tartari”, brano a cui siamo molto affezionati, O Quam Tristis e Second Skin. Non potevamo certamente chiedere di meglio e speriamo che la fiducia di Guido sia ripagata. Con nostro sincero stupore il disco sta piacendo molto alla critica. Sappiamo che erano in molti ad aspettarsi da noi una evoluzione più pop ed accessibile, ma il pensiero in realtà non ci ha mai neppure sfiorato. Il film è stato creato con il contributo di tutti, ma si basa sulle animazioni e sui dipinti di Massimo Romagnoli e su mie riprese in varie locations, mentre il montaggio è stato realizzato da Stefano Romagnoli. Il film è stato realizzato con il processo inverso di quello usuale : in questo caso, avevamo la colonna sonora e volevamo associare ad essa delle immagini. Per fare questo e dare una rappresentazioni visiva al disco abbiamo scelto di non adottare nessuna sceneggiatura e nessun limite. Abbiamo quindi accostato immagini in modo istintivo, a tratti surreale, ma il risultato finale è per noi assolutamente coerente e soprattutto emotivamente riuscito. Credo non si possa descrivere, hai ragione tu, va visto e se possibile vissuto. Ti dico solo che Liù vive in ogni immagine e in ogni nota del lavoro. E questa è forse la magia più grande di tutte.

… bene ragazzi, Vi ringrazio di cuore per la lunga chiacchierata, e come faccio di solito, lascio a Davide e a Voi tutti il compito, se volete, di chiudere questa lunga ma indispensabile “intervista” come meglio credete...
Non possiamo che ringraziare chi apre la propria sensibilità, lo strumento che ci rende esseri umani, alla nostra musica e condivide con noi quanto scoperto. Facciamo sicuramente musica per noi stessi, ma non siamo indifferenti a chi ci ascolta, ed è una grandissima gioia ed una incommensurabile ricchezza scoprire che qualcuno, come te Alfredo, ci “sente” allo stesso livello di emotività al quale noi componiamo musica. E siamo anche felici che ognuno, possa dare una lettura personale dei nostri lavori, che ha altrettanto valore di quella che gli attribuiamo noi. Grazie per averci ascoltato.

Info: www.albireon.it

ALBIREON
“I Passi di Liù” CD+DVD (lPalace of Worms)

Appena ho avuto fra le mani il nuovo lavoro di Albireon, non so perché ho avuto una strana sensazione, inquietudine soprattutto. Cosa confermatami sin dal primo ascolto del disco, o meglio forse mi sono lasciato suggestionare dall'aver visto prima il dvd e poi aver ascoltato l'album. Comunque siano andate le cose, vedrò di approfondire meglio il tutto con l'intervista che sto preparando a Davide Borghi. Lui mi ha solamente anticipato via e-mail, con la consueta sensibilità che lo ha fatto da subito diventare mio 'amico di email' (oltre che aver avuto il piacere di organizzare con lui un concerto qualche anno fa), che il disco rispecchia il ricordo di sua nonna morta 4 anni fa, o meglio “le sue ultime 4 ore di vita”. In senso positivo, non come qualcosa “di morboso” ma piuttosto un modo per ricordarne la sua figura. In realtà io continuo a vedere nell'album (sì, nei brani, non nelle immagini) una serie di percorsi che attanagliano alla gola, come leggere i sentimenti di qualcun altro. E, ripeto, tanta tanta inquietudine. Probabilmente non era nelle intenzioni del gruppo emiliano trasmettere quella che io dico “incantevole sofferenza”, ma di fatto ritengo che questa sia una definizione più che appropriata. Bene, finora direte voi, ci hai rifilato le solite elucubrazioni mentali, ma stringendo: e la musica? Bene, quella va solamente ascoltata, come si può pretendere di descrivere un continuo, ininterrotto flusso emozione? A partire dall'iniziale “Liù dorme” che introduce l'ascolto in un loop musicale sul quale la voce di Davide vuole coinvolgere e circondare, a “Naufraghi” e “Gli equiseti” con la loro malinconica base di piano; l'idea di un viaggio in mezzo ad un mare scuro ritorna con “Deriva” e “Marea”, sperimentali e sempre condotti da deboli loop che si chiudono a cerchio dentro di loro. Chi si aspettava il “solito dischetto neofolk” rimarrà deluso e, se ha un minimo di sensibilità, sconvolto da tanta ricchezza di suoni, di vibrazioni, di voci a volte anche quasi urlate, come a rimarcare un ricordo che non deve spegnersi. Ultimo appunto: “Cerbastri”, persino bucolica negli arrangiamenti, forse questo sì un episodio che può essere considerato 'neofolk', e la conclusiva “Gennaio” che parte quasi in stile 'noise' per poi introdurre pian piano i diversi strumenti, di cui la voce è inevitabilmente parte. E il dvd? Beh, quello non ha bisogno di alcuna parola, è semplicemente purezza, (dis)incanto e turbamento: anche qui si tratta di un flusso ininterrotto di sensazioni, e mai come in questo caso, ciascuno ne dovrà trarre le proprie conclusioni, anche se avverto: sembra quasi che le immagini mutino al mutare dello stato d'animo del momento in cui le si guarda, col cuore, naturalmente, non di certo con i soli occhi.
(Anialf)

ALBIREON
"Indaco EP" CD-EP (Cynfeirdd)


Non c'è niente da fare: Albireon si presentano sempre più come una delle conferme più concrete nel nuovo panorama dark italiano. In questa occasione il gruppo di Davide Borghi fa uscire un EP di 6 pezzi, ma a differenza del passato, dove coesistevano più generi in ciascuna composizione, stavolta il quartetto emiliano si cimenta con il più puro neo-folk, dimostrando che il genere non è solamente appannaggio delle più blasonate band del centro Europa. Ogni singolo brano, guidato dalla voce di Davide, è alimentato da correnti riconducibili a band quali Forseti, Orplid, Death in June, Ostara, ecc. Ho saltato appositamente due nomi importanti di questo filone, poiché hanno direttamente partecipato alla realizzazione dell'album: i Sonne Hagal, che hanno prestato la voce di Oliver in "Somewhere far from heaven", e nientemeno che mr Ian Read che canta in "Awakening dance" (qui fortemente rielaborata assieme ad "Ala di falena", entrambi brani originariamente previsti nel cd "Il volo insonne"). Chiude poi il cd il bel live "Il testamento dell'avvelenato". Che dire? Gli Albireon hanno corso il rischio di cadere nell'anonimato di tante band del genere folk-apocalittico, che ormai stanno veramente rincorrendosi una con l’altra, ma ne sono usciti secondo me in maniera egregia. Splendida confezione slim-dvd, con stampati all'interno i testi da leggere e rileggere più volte, poiché sono parte indispensabile (e non di contorno) delle composizioni.
(Anialf)