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BAUHAUS
Alcatraz, Milano, 6 Giugno 2022

Testo di Luca Sponzilli
Foto di Barbara Lodi


Due giorni dopo l’estenuante performance del Primavera Sound, ad accogliere l’angelo nero Peter Murphy con i Bauhaus al completo, vi è l’esigente pubblico italiano nell’unica data che ha toccato il nostro Paese fissata all’Alcatraz di Milano (già) teatro delle due precedenti Reunion datate 27 Ottobre 1998 e 13 Febbraio 2006.
Qualunque sia la realtà di questa tanto sospirata rimpatriata dei quattro di Northampton, il fascino che conserva un concerto del genere è fuori discussione e la Venue fa registrare l’inevitabile/atteso sold-out; va presto detto, per gli amanti delle statistiche, che i lavori pubblicati dalla band fin quando sono stati assieme, anno 1983, sono tutti eccellenti, diversi tra loro ed hanno influenzato (non poco) la corrente musicale del Dark.
Il “Live” è stato piuttosto breve ed intenso, senza interruzioni, un’ora e un quarto di emozioni, aperte e chiuse rispettivamente dalle covers “Rosegarden Funeral Of Sores” e “Ziggy Stardust” nel cui cerchio ha ballato parte del loro repertorio singoli compresi (Bela Lugosi’s Dead/Dark Entries). “In the Flat Field” è stato l’album più saccheggiato con cinque canzoni, a ruota “Mask” con tre “The Sky’s Gone Out” e “Burning From the Inside” con una, per una setlist comprendente, tra le altre, il mantra di “Stygmata Martyr”, l’incalzante Funk di “Kick In the Eye”, l’energica “Telegram Sam” suonata nell’Encore ed i classici “She’s In Parties” e “The Passion Of Lovers”.
 I fratelli Haskins (David e Kevin) hanno confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza della ritmica nel suono Bauhaus mentre il chitarrista Daniel Ash ha risvegliato i sopiti sogni dei “die-hards” tra apolidi e talvolta schizoidi riff metallici che alternati al Sax di “A God In Alcove” hanno raggiunto, senza retorica, livelli di assoluta perfezione strumentale. Quanto al “Vampiro” Murphy, nonostante qualche prevedibile afonia iniziale, ha tenuto brillantemente il palco; le sue istrioniche movenze e l’ inconfondibile stile vocale/interpretativo, punti fermi della serata, esaltano il parterre allontanando le ansie da lunatiche ombre appartenenti a quell’essere in egual modo genio/sregolatezza.
Alle 22:15 termina la gig tra gli applausi e la soddisfazione generale compresa quella del sottoscritto; i Bauhaus salutano e con molta esperienza lasciano in breve tempo l’Alcatraz, quasi inosservati, nascondendo ancora una volta nel buio della notte milanese il segreto dell’eterna giovinezza ma questa è un’altra storia.
“I pipistrelli hanno lasciato il campanile, le vittime sono state dissanguate ed il velluto rosso riveste la scatola nera…”