THE 
              CURE
              @ FORUM COPENHAGEN. 14 ottobre 2016
              
              
              
              Testo: Gianmario Mattacheo
              Foto: Gianmario Mattacheo e Nicola De Brita
              
               
 
            
              Un periodo di tempo leggermente inferiore ai due anni, può rappresentare 
              una crisi d'astinenza? Per un fan dei Cure se non lo è, ci va molto 
              vicino. L'ultimo Thank you lo ricevemmo in prossimità del Natale 
              2014, quando Robert Smith salutò il suo pubblico dal palco del prestigioso 
              Hammersmith di Londra. Il 2016, invece, vede la band impegnata in 
              un world tour davvero imponente in termini di concerti programmati 
              (76 totali, tra il mese di maggio e dicembre), mentre la data odierna 
              di Copenhagen è posta agli inizi della branca europea ed ultima 
              in terra scandinava.
              
              Nulla di nuovo sotto il sole verrebbe da dire, se chi legge pensasse 
              ad un tour promozionale di un nuovo album. Siamo ancora fermi a 
              quel "4.13 dream", ormai vecchio di otto anni. Solite collaborazioni 
              per il capobanda, ma nulla sul fronte delle nuove uscite, anche 
              se "It can never be the same" e "Step into the light", canzoni proposte 
              con regolarità fin dall'inizio del tour, potrebbero suggerire un 
              non lontanissimo nuovo album.
              Il Forum di Copenhagen, il non ampissimo palazzetto nel centro della 
              capitale danese, è pronto ad accogliere (dalle prime ore pomeridiane) 
              i primi sostenitori, mentre i cartelloni pubblicitari anticipano 
              il sold out dell'evento. 
              
              In attesa del concerto si passa la giornata nel vivissimo centro 
              di Copenhagen, cercando di limitare i danni dell'implacabile vento 
              del nord, saziandoci con il miglior Smorrebrod (noi lo chiameremmo 
              un panino molto farcito e aperto), piatto tipico ed orgoglio culinario 
              locale. 
              Se per i Cure affrontare un world tour rappresenta una fatica ampiamente 
              conosciuta, certo non lo è per i The twilight sad, 
              band di supporto che accompagna gli inglesi fin dalla prima data. 
              Siamo molto curiosi di vedere l'impatto live di questo gruppo e 
              le conseguenti reazioni degli spettatori. Nei mesi passati, inoltre, 
              abbiamo apprezzato l'ottimo remix di "There's a girl in the corner", 
              impreziosito dal cantato di Robert Smith; insomma, come abbiamo 
              scritto poco sopra, ci sono le premesse per goderci un buon gruppo 
              di spalla. Purtroppo la resa è decisamente inferiore alle aspettative, 
              sia in termini di impatto sonoro, sia di presenza scenica. Ad eccezione 
              della batteria, tutti gli strumenti paiono essere nascosti nel silenzio 
              del Forum, mentre gli atteggiamenti di James Alexander Graham (il 
              frontman) sono ai limiti dell'antipatia. E' come se la presenza 
              di Ian Curtis aleggiasse sul palco del palazzetto danese, attraverso 
              un copia ed incolla di tutta la gamma dei versi che l'ex leader 
              dei Joy Division metteva in scena: non sappiamo se è una scelta 
              atta ad emulare il defunto cantante (accattivando il pubblico per 
              risultare simpatico) o (peggio) un tentativo di satira di dubbio 
              gusto, ma in ogni caso ci pare del tutto fuori luogo. 
              
              Ma quando entrano in scena i Cure, i giochi si fanno seri, per davvero. 
              Il pubblico danese non è per nulla freddo nel tributare alla storica 
              band un'ovazione calorosa (terza assoluta, qui al Forum, dopo gli 
              spettacoli del 1996 e 2008). Il copione è quello classico: Jason 
              Cooper, poi Reeves Gabrels, poi Roger O'Donnell e Simon Gallup (da 
              brusio siamo passati ad un rumore quasi assordante), anticipano 
              l'ingresso di Robert Smith (ed ora lo possiamo affermare, senza 
              il rischio di sbagliare, ….. è un frastuono quello che accompagna 
              la sua entrata in scena!). Il pezzo che ha l'onere di aprire le 
              danze è "Plainsong", in quello che rimane, a giudizio di chi scrive, 
              il miglior modo per salutare i fan. In realtà, non ci sono sorprese 
              su quale sarebbe stata la canzone apripista, in quanto dal pomeriggio 
              le note del sopraccitato brano erano udibili dall'esterno dell'impianto, 
              durante l'esecuzione del soundcheck. È un concerto che tende a celebrare, 
              quasi totalmente, il capolavoro di "Disintegration". Dalla citata 
              "Plainsong" a "Pictures of you" e "Closedown" (prime tre del concerto, 
              così come furono le prime tre canzoni incise nell'album del 1989) 
              è un continuo ripescaggio da quell'album malinconico. faremmo prima 
              a dire quale brano non è stato omaggiato stasera, ma un pensiero 
              lo voglio dedicare ad "Untitled" (una delle poche escluse, appunto), 
              se non altro perché due ragazze, poste vicino a me, hanno gridato 
              il titolo della canzone per le due ore e mezza dell'intero concerto!!! 
              La band appare in sintonia e Robert Smith è come lo avevamo lasciato: 
              Robert Smith, e basta. 
              Oggi, invero, siamo colpiti da un Simon Gallup particolarmente tonico, 
              presente e grintoso. Non ricordo un concerto nel quale il bassista 
              abbia dato un tale contributo. Oltre alla presenza scenica ed alla 
              grinta espressa, ci piace notare le continue occhiate e i dialoghi 
              che i due principali musicisti della band si scambiano: è anche 
              questo che fa un grande gruppo. La prima parte del concerto, oltre 
              alle piacevoli incursioni di "Disintegration", vede proporre brani 
              non troppo distanti da una scaletta che potremmo definire "classica". 
              Così troviamo "High", "Inbetween days" e "The end of the world", 
              quali canzoni gettonatissime ad inizio esibizione. 
              Ci piace godere di alcune mezze novità scelte per questo tour 2016. 
              "Sinking" è il gioiello dark di "The head on the door" e "The last 
              day of summer" è il giusto tributo a "Bloodflowers", sicuramente 
              uno dei migliori lavori della band. In questo clima così intenso, 
              il gruppo sceglie, quale conclusione del mainset, "Disintegration", 
              ovvero una delle canzoni la cui esecuzione rappresenta per Smith 
              una prova vocale tra le più dure ed impegnative. Il primo rientro 
              vede eseguire la nuova e non trascendentale "Step into the light", 
              "Want" (unica esecuzione da "Wild mood swings") e, soprattutto, 
              "Burn". Il singolo, che fu colonna sonora del "Corvo" di Alex Proyas 
              è un brano dalla suggestione assoluta; in esso, se non tutto, vi 
              si trovano almeno molte, moltissime cose: dalle chitarre grintose, 
              alla voce sofferta, all'atmosfera smaccatamente dark: insomma è 
              un vero piacere che Robert Smith l'abbia ripescata e dato a noi 
              il privilegio di ascoltarla live. Tra i secondi rientri, lo spettacolo 
              più alto è offerto dalla delicatezza di "Dressing up" e da "Fascination 
              street", ma è con gli ultimi bis che si danza attraverso le più 
              celebri pop song. "Doing the unstuck" porta ottimismo, tra una "Boys 
              don't cry", un'irressitibile "Friday I'm in love" ed una sempre 
              eccellente "Close to me", fino ad arrivare alla conclusiva "Why 
              can't I be you" ed all'ultimo saluto. Concerto esemplare. 
              Da qua a dicembre la strada sarà ancora molto dura, ma queste fatiche 
              rimangono indimenticabili note positive. E se questo è l'incipit, 
              possiamo dormire sonni tranquilli. 
            
              
            
            
            
              