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								   Patti 
								  Smith 
								  Piazza Medford,  
								  Alba - 10 luglio 2021
  Testo 
								  di  Gianmario Mattacheo 
								   Foto di Adriana 
								  Bellato e Gianmario Mattacheo  
								  
  
							  
							   La scommessa è recensire un concerto senza 
							  citare il famigerato virus. Ci provo, sapendo, 
							  comunque, di perdere con un secco quattro a zero. 
							  
							  Perché ormai tra 
							  mascherine, distanziamenti e “lavati le mani” e 
							  “Hai una chirurgica o una FFP2?” pare che tutto 
							  ciò che facciamo sia riconducibile al Covid. Se 
							  poi il mondo della musica è quello che ha subito 
							  di più, non stupirà la mia preannunciata 
							  sconfitta. 
							  Un’altra domanda 
							  potrebbe essere: “Ma perché Patti Smith?”.  
							  La mia storia personale di guardone rock mi ha 
							  portato già qualche volte di fronte alla 
							  sacerdotessa, nonostante non sia al vertice della 
							  mia lista di gradimento (per quello, come si sa, 
							  basta tenere buono il cognome e girare il cantante 
							  al maschile). Quindi? Beh, allora ancora Patti 
							  Smith ed ancora di più oggi. Perché se la musica è 
							  stata messa in cambusa per tanto tempo si doveva 
							  ripartire da una grande donna, forse prima ancora 
							  di una grande artista. Poi, la tappa di Alba è 
							  l’unica della mia regione e quella più vicina a 
							  casa, pertanto sembrava davvero brutto rinunciare 
							  a questa straordinaria opportunità che odora già 
							  di privilegio. 
							  È “Wing” ad avere il 
							  compito di aprire la serata ed insieme a “My 
							  blakean year” si entra nel più recente repertorio 
							  della poetessa, con delicatezza, senza dover 
							  esordire con brani a rischio coronarico. 
							  La grande cantautrice 
							  annuncia che quello di stasera fa parte di un mini 
							  tour ed è felice di poter ripartire dall’Italia. È 
							  un quartetto quello che vedremo sul palco e ad 
							  accompagnarla ci saranno il polistrumentista Tony 
							  Shanahan, collega di lungo corso, il figlio 
							  Jackson alla chitarra e Seb Rochford, alla 
							  batteria. 
							  Parla spesso al 
							  pubblico, forse più che in passato, quasi a voler 
							  ricucire con le parole quello spazio enorme e quel 
							  silenzio causato dal virus. Ripete quanto il mondo 
							  dello spettacolo sia stato il più colpito, 
							  augurando il meglio a tutto il settore, dai 
							  tecnici, ai musicisti, passando dai produttori. 
							  Si dichiara fortunata 
							  ad essere qui oggi, concedendo più di un pensiero 
							  a tutte le persone che non ce l’hanno fatta o più 
							  duramente colpite dal Covid. Poi, per dare ancora 
							  più valore a quanto recitato, si avvicina al 
							  microfono per annunciare la prossima canzone; è 
							  “Grateful”. 
							  “Redondo Beach”, 
							  invece, porta quella leggerezza di cui certamente 
							  tutti hanno bisogno ed anche se la considero una 
							  delle meno fortunate del suo repertorio, per 
							  quanto detto sopra, si merita sempre un posto in 
							  scaletta. 
							  L’MVP della serata va a 
							  “Dancing barefoot”; il rock tratto da “Easter” è 
							  capace di andare anche oltre l’atmosfera di inizio 
							  concerto, per girare lo show su un versante più 
							  energico ed elettrico. 
							   
							  E mentre Patti Smith 
							  parla non si può non essere trascinati dal suo 
							  carisma e dalla sua umanità per essere trasportati 
							  nei sentieri della commozione; e anche se chi 
							  scrive ormai si commuove per la più stupida delle 
							  pubblicità o per l’ultima puntata di “Un posto al 
							  sole” è inutile negare come dietro la mia FFP2 si 
							  stiano tenendo a bada le ghiandole lacrimali. Un 
							  pensiero alle persone comuni, eroi di un’era a cui 
							  facciamo ancora fatica ad abituarci: “Don’t be 
							  afraid, be strong”. 
							   
							  Cover di Bob Dylan, 
							  omaggiato e celebrato fin da inizio concerto e poi 
							  spazio al solo Tony Shanahan che festeggia il 
							  compleanno di Mick Jager con le musiche degli 
							  Stones e poi Lou Reed, salvo ritornare agli 
							  Stones, questa volta con l’ingresso sul palco di 
							  Patti Smith, mentre nel medley iniziano le liriche 
							  di “People have the power” a cui, però, non si dà 
							  seguito all’atteso ritornello. 
							  “Pissing in a river” è 
							  sempre capace di entrare nel concerto con un 
							  piglio che poche altre canzoni possiedono; la sua 
							  presenza carica, se possibile, ancora di più 
							  l’arena. Certo non può mancare “Because the 
							  night”; la rocker guarda il figlio Jackson, 
							  dicendo che questa canzone è per suo padre, è per 
							  Fred, “Perché la notte appartiene agli innamorati, 
							  appartiene alla passione”. 
							  Si conclude con “People 
							  have the power”, questa volta senza strozzature, 
							  tra applausi sempre più calorosi e mascherine che 
							  si gonfiano come vele sotto un vento di passioni, 
							  per quel pezzo in cui tutti aspettano di cantare 
							  un ritornello tanto liberatorio. 
							  Un saluto al pubblico 
							  “Grazie miglia Alba” e l’uscita prendendo sotto 
							  braccio Jackson, non prima di chiedere al pubblico 
							  di non dimenticarla. 
							  
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