Web-zine di musica, cultura, arte e tutto l'universo
oscuro
Quarantennale di “The Head on
the Door” dei Cure
di
Gianmario Mattacheo
È l’anno del quarantennale di “The Head on the Door” ed è
doveroso spendere due righe sul sesto e imprescindibile
album in studio dei Cure.
Sono malato di classifiche: la migliore band, il mio
scrittore preferito, il regista preferito, ecc. Poi mi
faccio le sotto cartelle (classifica degli album del mio
gruppo preferito; dei libri del mio scrittore preferito … e
via discorrendo). Insomma, un archivio mentale su cui ogni
psicoterapeuta sognerebbe di metterci le mani.
Ma questo per introdurre THOTD che, nella mia personalissima
classifica, ha scalato posizioni su posizioni. Negli anni si
collocava non nelle primissime posizioni, ma con il passare
del tempo (complice anche il mio invecchiamento) ha fatto un
balzo enorme, raggiungendo il secondo posto (solo dietro a
“Disintegration”).
Sicuramente mi sono un po’ addolcito, quando qualsiasi
cosa che fosse lontana da “Pornography” mi sembrava o
inutile o troppo carica di miele. Ma, tornando a THOTD,
direi che oltre ai miei gusti personali, riveste
un’importanza unica all’interno della discografia del
nostro.
E, come al solito, dietro una classifica si celano
ragioni di cuore, con discorsi più oggettivi. Lasciando da
parte le prime, perché ognuno avrà i propri gusti, è
indiscutibilmente fondamentale l’album del 1985, perché
sdogana finalmente e completamente il genio compositivo di
Robert Smith.
È l’album, infatti, della compiuta consapevolezza artistica.
Quello in cui, insomma, le diverse anime di Robert trovano
piena cittadinanza. Dopo il 1982 ci fu una sorta di svolta
pop (“Japanese”), e poi psichedelica (“The top”), ma furono
due momenti che, per quanto brillanti, rimanevano episodi
isolati. Con THOTD i Cure escono allo scoperto mettendo
insieme l’anima cupa (noi diciamo dark) con quella pop di
RS.
I testi delle canzoni sembrano dichiarare ai fan tutto
questo. Basta leggere le parole della traccia d’apertura per
capire quanto un passato recente, in cui un giovane Robert
si sentiva già vecchio, si fosse trasformato in un presente
multicolor.
Ancora, nella irresistibile “Six different ways”
Robert lo dichiara più nettamente, quando riconosce e
accetta tutti i suoi modi di essere e sentire (“Sei modi
differenti dentro il mio cuore … e li terrò tutti
stanotte”).
Ma poi nell’album dell’85 c’è proprio tutto, e tutto
incanta. Da “Close to me”, passando per la conclusiva
“Sinking”. Come si sta bene, sicuri, protetti e a casa, tra
quei solchi di vinile.